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Ruderi, 1910 |
Per l'isola di Loreto, la cui storia resta ancora
misteriosa, la ricerca di documenti d'archivio è restata
purtroppo infruttuosa. Quasi per sopperire a questa difficoltà
l'isola ci ha concesso un piccolo tesoro, celato per centinaia d'anni
nei suoi anfratti, una manciata di monete il cui studio ci ha permesso,
se non di ricostruire la sua storia, di immaginare le vicissitudini
dell'isoletta. La più antica risale al 1238, epoca di Federico
II, segue una moneta di Gian Galeazzo Visconti, e di Luigi XII 1509,
e poi monete bolognesi, veneziane coniate sotto parecchi Dogi, vanno
da Marc'Antonio Memmo (1612-25) a Luigi Mocenigo (1763-79) per ultime
qualche "palanca" di Vittorio Emanuele II.
Questo ci dice che l'isola fu un luogo d'incontro,
sia di pescatori, mercanti, pellegrini, certamente anche devoti
frequentatori di un leggendario claustro femminile con annesso santuario.
Primi documenti attendibili sono gli atti della visita pastorale
di S. Carlo Borromeo i quali ci descrivono un romito di nome Pietro
che abusivamente portava l'abito ecclesiastico e, facendosi chiamare
padre, aveva presso di se dei fanciulli.
Viveva in un romitorio formato da alcune stanze addossate a una
cappella i cui resti erano ancora visibili alla fine dell'ottocento.
L'isola, certamente deserta dal 1781, passa in proprietà
della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa.
Visse un momento di celebrità nel 1847 quando Costanze Ferrari
nel suo romanzo storico Tiburga Oidofredi la fece sede di un monastero
sotto la protezione della sua potente famiglia. Lo stesso Ferrari,
pochi anni più tardi, dal suo esilio parigino, così
la canta nel suo poemetto "II Sebino".
"Mira quel sasso nudo in mezzo
l'acque
Ove sol cresce il cardo, la pungente
Ortica e '1 muschio verdeggiante, asilo
Fra le rovine agli schifosi insetti.
Ivi sorgeva, non ha molto, un chiostro
Di verginelle alla Gran Madre sacre
E ancor Loreto qui s'appella, allegra
Meta e ricetto a sociali spassi."
Alla morte della duchessa
gli eredi, nel 1900, vendettero l'isola, al Cav. Uff. Contr'ammiraglio
Vincenzo Richieri il quale con l'aiuto dell'architetto Luigi Tombola
costruì un castelletto usando le pietre dei ruderi esistenti.
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