Prefazione - Don Antonio Fappani
La Pesca
La Rete
La Barca
Agricolutra e Pastorizia
Gli Emigranti
Madonna della Ceriola
Festa Santa Croce
Rocca Martinengo
Isola di San Paolo
Isola di Loreto
Rievocazione di una battuta di pesca con regagna a largo del lago d'iseo da parte degli ultimi pescatori di Peschiera Maraglio.
Alla fine della manifestazione la rete, alta 40 metri e lunga 150 prodotta dal retificio "La Rete", è stata donata ai pescatori del paesino di Nindirì in Nicaragua.
 
 
 
LA PESCA - l'eroismo grigio dei lupi di lago


Tra il lago e l'uomo c'è un rapporto che risuona di echi lontani, è possibile cercare di capire questo rapporto osservando queste vecchie immagini, esse richiamano strumenti, attrezzi, utensili e momenti della vita quotidiana, che rappresentano le complesse e vincenti risposte culturali date ad un ambiente lacustre apparentemente tranquillo ma molto difficile quando si trattava di entrare in sintonia per strappargli cibo e vita.
Laghi, stagni, fiumi e paludi coprivano millenni fa, quando la Pianura Padana era un immenso acquitrino inabitabile, gran parte del territorio italiano.

I fiumi scorrevano selvaggi ma sui bordi dei laghi prealpini molte strisce di terreno si prestavano ad una agricoltura rudimentale. Per la comunità che vivevano su quelle zone umide, la pesca era un'attività complementare all'agricoltura; è sui bordi dei laghi che si sviluppa un'economia mista di raccolta e coltivazione. La vita sui territori lacustri era più facile anche perchè le rive erano in gran parte ricoperte dal canneto che oltre ad essere uno strumento difensivo e sicuro si prestava a mille usi: stuoie, coperture per le palafitte, aste per le frecce. Il pesce allora abbondante era facile da catturare in tutte le stagioni, oltre che con le mani, con mezzi rudimentali: arpioni fatti con legni appuntiti, nasse di giunco, reti intrecciate con vegetali. Qui nasce l'attività più antica che l'uomo ha esercitato, la pesca, è qui che i suoi semplici atterrai si trasformano in intelligenti risposte culturali che gli permettano di vivere stabilmente in questo ambiente.
L'uomo inquieto e curioso, si spinge e prosegue verso il fiume, i primi traffici avvengono tramite imbarcazioni scavate in enormi tronchi, il lago diventa l'epicentro di un commercio che parte dal fiume e arriva al mare e nel tempo si arricchisce di nuovi contenuti senza mai dimenticare gli attori principali: i pescatori.
Fino alla rivoluzione delle ferrovie nel secolo scorso, le grandi distanze con merci pesanti potevano essere trasportate solo via acqua; fondamentale strumento di questo movimento è stato "il barcù" del Lago d'Iseo, con la sua tipica velatura quadrata o rettangolare, il grande timone laterale, ideato in questa maniera per sfruttare i due venti principali, che vanno rispettivamente, il vét da Nord verso Sud di notte e l'ora il pomeriggio da Sud verso Nord. Questa grande barca, come per quella più piccola da pesca, il naèt, sono ideati con una tecnica di costruzione marittima.
Diversamente da molte imbarcazioni dei laghi interni che sono uno sviluppo concettuale della zattera a cui vengono applicate le sponde laterali, il barcù, e il naèt si costruiscono a partire dal bordo superiore piegando i legni con tecniche sapienti e applicandovi poi il fondale piatto. Un'idea costruttiva complessa che arrivava da molto lontano. Gli studiosi del settore fanno risalire all'alto medioevo questo modo di costruire delle barche; mentre la vela quadrata in particolar modo annodata allo stile dei pescatori e barcaioli sebini, si ritrovava nelle miniature di epoca carolingia e gotica. Il timone laterale era in uso nelle acque interne nordiche nel XII secolo.
Una storia molto antica quindi quella del lungo e affusolato naèt che offriva al pescatore la possibilità di compiere lunghe distanze e di essere in continuo movimento sull'acqua molto profonda per raggiungere spazi di pesca lontani dalla propria zona.
Il naèt, può essere definito il ritratto del nostro microambiente, la fine risposta adattiva di tutte le genti del lago, tanto ingegnoso da essere esposto a Londra nel museo della navigazione.
Nell'evoluzione del pescatore che ha trasformato il lago in uno spazio domestico, ogni giorno si aggiungeva una piccola e ingegnosa scoperta. Astuzie e fatiche prima nell'ambiente più facile del canneto dove pescare con fiocine e semplici nasse sempre più perfezionate, poi la rete, una straordinaria invenzione degli albori della nostra avventura lacustre, una sottile astuzia del pescatore che gli avrebbe garantito la sopravvivenza.

Sensole 1920


Il legame della rete con la pesca diventa indissolubile quando il pescatore abbandona l'amo e si appropria di questo strumento che diventerà cultura del lago, raggiungendo livelli sempre più alti. La quantità e la qualità del pesce pescato dipenderanno essenzialmente dal tipo di reti, sempre più complesse, fatte prima di cotone, canapa, lino, seta, poi la rivoluzione delle fibre sintetiche.
Barca, rete, pesca, pescatore, un legame indissolubile per i "lupi di lago" che ogni stagione con le loro affusolate barche, in qualsiasi situazione climatica si spingono sul lago. Il loro viaggio inizia da Peschiera, Sensole, Carzano, alcuni anche dal porto di Siviano, il territorio di pesca è vastissimo, hanno il vantaggio che partendo da Montisola, situata nella parte centrale del Lago d'Iseo, con il vento a giusto sarà possibile spostarsi in qualsiasi punto del lago. La barca, quasi sempre legata al palo vicinissimo all'uscio di casa, è pronta, ci sono grossi mucchi di reti avvolti in consumati pezzi di iuta annodati con quattro lembi degli angoli, c'è il palèt, con il quale si spalerà l'acqua sempre presente sul fondo, ol suì, il mastello di legno dove si deporranno le reti bagnate, la càagna - càagnöla, cesta di vimini dove mettere il pesce pescato, il guadì, per recuperare il pesce impigliato nelle reti, l'ancurina, una piccola ancora per recuperare le reti. A volte il pescatore è solo, la zona di pesca in cui è diretto è lontana, tornerà domani, allora, sulla barca con le reti si porta il balì, un giaciglio di crine, arrotolato sulla poppa per riposare alcune ore la notte se il tempo e il vento, lo permetteranno.
Molte volte il pescatore è in compagnia di un figlio che fin dalla più tenera età inizia alle segrete tecniche della pesca, oppure c'è il fratello o un compagno che dividerà per tutta la vita le fortune e le sfortune di questo duro lavoro.

Pesca con la regagna, Carzano 1940

In alcune occasioni, si pescava anche in gruppi con tre o quattro barche, si trattava delle mitiche pesche con la regàgna, una grandissima rete a strascico che date le sue dimensioni non poteva essere manovrata e difficilmente anche se posseduta dalla sola coppia dei pescatori. Si trattava di una rete di cotone alta 40 o 60 metri e lunga anche fino a 600 metri, asciutta pesava 4 quintali, veniva chiamata anche bastarda, per la faticosità del suo uso, il galleggiamento era assicurato da centinaia di grossi turaccioli di sughero, le féngole, veniva calata in acqua descrivendo un largo semicerchio che si sarebbe poi chiuso con grande fatica, tirando le corde di cima e di fondo, la rete trascinava così dal grande perimetro di lago occupato, tutti i pesci che trovava lungo il suo percorso. Potevano essere pesche molto fruttuose, oppure tanta fatica e lavoro potevano risultare inutili.
Nei giorni attesi e sicuri delle freghe, la stagione degli amori del pesce, quando a branchi si avvicina alle rive, àole e sardine riempivano le barche e la strada, erano giorni di lavoro per tutta la famiglia. Sulla barca tutti i componenti della famiglia aiutavano a togliere dalla rete le piccole e abbondantissime alborelle, poi si allargavano sulle grandi tavole di legno costruite sapientemente a graticcio, le arèle, per far circolare l'aria tra il pesce messo ad essicare al sole.
Queste grandi tavole venivano disposte nella piazzetta e lungo le strade del paese, generalmente era il nonno che aveva il compito di seguire la buona riuscita di questa delicata operazione, passava e ripassava con la mano il piccolo pesce per fare in modo che l'essicatura fosse omogenea, spostava le tavole seguendo il sole, le copriva durante la notte fino a che trasformate al sole in leggeri e argentei bastoncini potevano essere messi in un sacco e vendute sui mercati.
Le sardine richiedevano una lavorazione più lunga e accurata tolte dalle reti, dovevano essere pulite, lavate e lasciate per un giorno sotto sale, poi venivano rilavate e appese a gancetti fissati su un'apposita intelaiatura di legno, disposte in file parallele fino a riempire tutta l'intelaiatura, molti li disponeva molti li disponevano sugli archetti, archèc, rami di frassino o carpino che venivano piegati ad arco e tenuti in tale posizione da un filo teso all'estremità. Altri fili paralleli occupavano tutto lo spazio dell'arco; in questi veniva infilato o appeso il pesce. Dopo 8 o 10 giorni il pesce secco veniva stivato con arte in contenitori, pressato e separato dall'aria da uno strato di olio.
Dopo qualche mese le sardine diventano color oro e allora erano commestibili, si cucinavano rigirate sulla brace, condite e mangiate con la polenta.

Sensole 1920

Questo metodo di conservazione del pesce che risale forse ai pescatori che un millennio fa pescavano per il Monastero di Santa Giulia di Brescia, è attuale ancora oggi, rappresenta una grande e originale risposta alla sfida del lago del pescatore che per risolvere all'esigenza di conservare il pesce, ha saputo ideare un piatto che è risultato una grande trovata culturale dei lupi di lago.
Molte le battaglie combattute da questi sconosciuti eroi nella loro lotta per difendere il lago. I documenti raccontano quando nell'anno 1481 cominciò la lite dei pescatori poveri contro la corporazione dei pescatori ricchi che pescavano con grandi reti a strascico dannose per il lago e compromettenti per il futuro della pesca; i pescatori poveri riuscirono anche a mandare un loro rappresentante a Venezia per sollecitare l'intervento della Repubblica. Molte le testimonianze nel '600 e nel 700 nei carteggi inviati al Senato veneto dai "poveri abitanti delle terre di Peschiera, Monte d'Isola e Siviano posti in una isoletta del lago d'Iseo costretti per sostentamento delle loro povere famiglie ad attenersi giorno e notte a pescare..." sulla possibilità di ampliare i loro confini lacustri verso i territori della Valle Camonica, sul rispetto delle reti e delle barche. Gabriele Rosa segnala, nella sua storia del lago d'Iseo, che "il 20 giugno 1717 a Peschiera del lago d'Iseo si tenne assemblea generale di capi famiglia, nella quale con voti 31 su 37 si deliberò di insistere presso il Senato di Venezia perché esclusi i tempi quaresimali, fosse fatta eseguire la proibizione dell'uso delle reti dette-rini-bozzere-saccole-introie saccolotti".

Sensole 1905
Pesca con la "Bidina" 1905
   

Queste lunghe questioni si trascinarono anche nell'ottocento e nel '900. Si legge in un esposto, firmato da oltre 80 pescatori di Peschiera datato 20 novembre 1942, "I sottoscritti pescatori fanno presente che il mese di giugno viene esercitata sul lago da parte di alcuni pescatori la pesca con reti proibite, ciò causa una distruzione del pesce persico e delle alborelle...". Questo dimostra come il lago per il pescatore sia sempre stato uno spazio sentito proprio, familiarizzato e controllato, uno spazio amato e troppo importante per essere distrutto.

Pescatori con la regagna, 1910

Oggi i pescatori continuano a diminuire, a Montisola, dove vivevano comunità di pescatori, sono rimasti dei "superstiti" e in gran parte dei paesi sulla sponda Sebina sono definitivamente scomparsi.

Pesca con la regagna, Loc. Isola di S.Paolo, 1905

La professione del pescatore non è facile, non si può improvvisare, non fa intravedere grossi guadagni, inoltre bisogna conoscere ed amare il lago, vivere in simbiosi con esso e soprattutto difenderlo.


 

Peschiera 1929
Peschiera 1938
   

Il pescatore "moderno" esce a pescare anche da solo, tutte le reti a strascico sono state abolite, quelle in uso, altane, altaline, pale, palette, da posta o da cacciata, sono molto leggere e di materiali sintetici che non hanno bisogno di molte manutenzioni, eppure sono quasi tutti anziani colore che non riescono a staccarsi dal naèt e dal forte richiamo dell'acqua dolce.
Questa situazione mette in pericolo un importantissimo patrimonio culturale fatto di linguaggi, tecniche e attrezzi che se non verrà rivitalizzato l'interesse per questa professione e farla amare da nuove forze giovanili, si rischierà di racchiuderla nelle interessanti foto d'epoca.

Di Rosarita Colosio

Carzano, 1959

Carzano, 1962

Conservazione di Cavedani, 2000


Conservazione di Cavedani, 2000


La frega delle "aole", 1957

Peschiera, 1915
Famiglia Soardi, pescatori di Carzano, 1920
Moretti Franco e suo nonno in prossimità di Iseo, 1960
Famiglia Agnesi, Peschiera 1947
La più famosa coppia di pescatori di tutto il lago, Peschiera 1968
Carzano 1960
Peschiera 1962
La frega della aole, Peschiera 1973
La frega delle aole, Peschiera 1965
La frega delle aole, Peschiera 1941, tre generazioni sullo stesso naèt
Arèle sul lungolago di Peschiera, 1960
La frega degli agoni, Peschiera 1965
La Frega delle aole, Peschiera 1984

Sandro

Sardine

Tinca al Forno
Pesci ad essicare, 2000
 

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